Luigi Battisti


LUIGI BATTISTI C’È DA VEDERE*

di Augusto Pieroni

C’è da vedere, ci assicura Luigi Battisti: sotto la superficie cromatica o materica, più profondamente, ancor più colore, ancor più materia ci aspetta. Ancora più attenzione è chiesta ai nostri sensi intorpiditi. In otto stanze di Palazzo Compagna ci è offerto un percorso nel tempo che dà e prende luce dal lavoro di Luigi Battisti. Pittore, forse, ma più chiaramente scultore di colore e luce nello spazio.
Iniziamo il viaggio a ritroso dalle ultime sale, per essere fedeli alla crescita nel tempo. Il suo materiale è stato da sempre il legno: già nei Teoremi del 1992 si percepisce il problema centrale che è la profondità del quadro: l’ingombro nella verticalità dello spazio dei piani di un colore pulverulento, steso sul legno naturale. Le strutture sono modulari come un pensiero geometrico e i colori ridotti all’osso: bianco, nella seconda serie dei Teoremi del 1994.
Quindi sul multistrato di legno nasce l’idea dello scavo: lo scalpello inizia a mangiare la liscia superficie sanguigna del quadro mettendo a nudo la texture ortogonale delle superfici sottostanti.
Ne conseguono lavori dove la superficie è scavata fino a creare una scrittura fatta di articolazione nello spazio. Invasa, però, deglutita dalla sensualità del colore che ora ricopre l’intero oggetto pittorico: di fronte, ai lati. Le stanze cosentine sono piene di questi pezzi unici saturi di colori. Ogni elemento sta disordinatamente nello spazio, disubbidendo come può a una più forte volontà geometrizzante.
Nel 1994 nascono i Muti, striscioni arrotolati di vinile trasparente dipinto con i gesti orizzontali bianchi che ricalcano le fratture provocate con lo scavo. Le aste che sorreggono questi strani oggetti sono immerse nelle più ampie gradazioni del rosso e, qui, scandiscono come sentinelle le ritmiche di un nastro continuo di parete bianca. Rispetto ai quadri, i Muti, poggiati a terra e addossati al muro, hanno scelto di occupare lo spazio di vita dell’uomo, non quello dell’arte.
Attorno al 1995 il lavoro insegue nuovi obiettivi legati sulla reattività delle cromie alla luce, i Siliconi sono pannelli scavati e colorati, ma glassati in un guscio di silicone trasparente la cui superficie frontale lavorata butterata, incidentata co0me quella del legno sottostante. Il risultato è una moltiplicazione della sottigliezza dei quadri. Da sotto la velatura ineguale del silicone traspare, ora più, ora meno, l’originaria presenza stratigrafica del colore. Nei luoghi di Palazzo Compagna dove è in maggiore evidenza la luce, i siliconi si offrono volentieri a questo gioco.
Nello stesso momento in cui nascono i siliconi lo spettro cromatico si amplia ulteriormente traendo le estreme conseguenze dai rossi più esterni usati nei quadri. Il lavoro, a secco o immerso nella materia plastica, accosta allora le torride radiazioni rossastre con le lontane o compassate tonalità dei blu profondissimi, dei verdi chiarissimi. I prugna e gli acquamarina compongono degli accordi solitari o si incastrano nei rossi in sinfonie dissonanti.
Le opere di Luigi Battisti spuntano dalla parete come costruzioni suadenti, ma non furbe, che attraggono lo sguardo a cercare, nelle profondità delle materie, un comportamento verso la luce. Sistemandosi a volte fuori fuoco, i pezzi mostrano un’attitudine comunicativa-ma non semplificativa- verso il pubblico, che viene portato ad esplorare oltre quel che c’è da vedere.

*Testo per la mostra Luigi Battisti C’è da vedere, Cosenza, Palazzo Compagna 1996

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